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1992

Lugano
 
Galleria L'Incontro

Mario Agliati

POESIA DI SILENTI PAESAGGI

E’ lecito parlar per le stampe di una mostra quando questa ha già chiuso i battenti? Non è proprio un problema di teologia morale, e perciò mi attento a rispondere. Certo che è lecito: anzi persino doveroso, quando si tratta di far conoscere un artista che vale, e molt’altre mostre promette ancora, ché è operosissimo. Mi son posta la domanda, ho dato io stesso una risposta (interessata). Usino con me benevolenza i lettori.

L’artista è Roberto Milan, reduce da una esposizione, durata fino al 15 maggio, ne la Galleria "L’Incontro" di via Trevano, diretta da Françoise Tamò: una nutrita rassegna di pastelli e olii, d’una lene serenità malinconica, in un’aurea di schietta, pur se sommessa poeticità.

Roberto Milan è nato a Tortona cinquantacinque anni fa, ma si può dire che sia cresciuto a Chiasso, dove abita dal 1946. Per vocazione fu sempre assiduo nella scrittura e nella pittura. E da quel che è apparso alla mostra, si direbbe ch’egli lasci dietro di sé una strada alquanto lunga, che gli ha fatto cogliere un bel traguardo. Ma, per dirla in linguaggio ciclistico, questo vuole essere un mero traguardo di tappa: poiché quello finale è ancora ben lontano al termine di un altro e altrettanto lungo pezzo di strada, che proprio questa mostra ha fatto iniziare.

Dopo un annoso (ed evidentemente faticoso e insieme gioioso) lavoro, Milan è in un certo senso approdato a un "silenzio", ch’è insieme suo e dei suoi paesaggi. Paesaggi di quali contrade? Non è che non importano i luoghi d’ispirazione; ma importano, diremmo, in un modo non assoluto; importa invece soprattutto vedere la "resa": Ora, in questi quadri (sia che Milan ritragga il Mendrisiotto, la Brianza, il Generoso de’pascoli digradante verso Mendrisio e la Val di Muggio, o il Canton Grigioni, Dalpe, la campagna friburghese, il Belgio, i Vosgi), sempre è nella resa primeggiante, anzi felicemente condizionante, l’anima del pittore, che traverso quei paesaggi invera i fantasmi del suo mondo; ch’è poi come dire i fantasmi di quel poetico silenzio.

 Cerchiamo di immaginare il metodo di lavoro di Milan: sul "terreno" per fissare le linee dello scenario, i piani, i colori, le quinte e le prospettive; e poi in studio a completare, a rifinire, a conservare (fissandolo meglio) quel tanto che basti perché il paesaggio resti nella sostanza fedele, a tralasciare "il troppo e il vano", a fondere e amalgamare piani e colori; in una ricerca che appaghi si l’occhio, ma anche, e più, l’anima dell’artista, sicchè essa arrivi a sentire nel paesaggio sé stessa.

Nei paesaggi esposti in via Trevano si sentiva infatti un’anima, che era nelle cose, nei prati, nei campi, nelle colline, nel cielo; e non nell’uomo o nelle sue opere; che qui non compariva né una figura umana, né una cosa. Se mai unico "manufatto" volevano essere le strade, che peraltro erano importanti; nastri gialli, strisce orizzontali ocra, talvolta diagonali che per il verde variato ascendevano verso l’orizzonte sinuoso; ed erano poi i cieli volta a volta diversi, ma sempre elaborati, e ben nello scenario fusi, o bianchi di luce, o grigi e neri foriere di tempesta. Un silenzio sospeso correva per i trasfigurati paesaggi, tra l’azzurrino delle colline, il verde cupo dei boschi che contrastava col verde tenero dei prati, in cui a tratti parevan danzare, simili a palloni scuri, le fronde di sparsi alberi e di macchie.

C’erano nella rassegna, come s’è detto, olii e pastelli; questi forse più numerosi di quelli; e secondo me a ragione. Milan possiede certamente con saldezza la tecnica dell’olio, che gli fa raggiungere effetti di grande fermezza. Per questi soggetti mi par che si adatti meglio il pastello, con le sue trasparenze, per la sua tenerezza (per dirla come i francesi) "mate". Mi piace ricordare "Paesaggio dei Vosgi, fatto quasi di onde chiare slontanantisi, verdi grigi gialline; o "Paesaggio brianzolo", dove c’è in primo piano il cilestrino di un laghetto, e potrebb’essere il pariniano lago di Pusiano, che ispirò anche Segantini; o "Paesaggio friburghese", o "Nebbia in Padania"; e qui soprattutto, nel bianco-grigio che si fa gamma di grigi, il pastello mi par che sia da additare come lo strumento ideale, il mezzo più efficace e immediato.

 Rivista di Lugano, 29.5.1992, Recensione della mostra alla Galleria L’Incontro di Lugano.

   



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